lunedì 31 marzo 2014

Dalla Turchia alle ambasciate italiane: il fallimento della nostra politica estera

Carramba che sorpresa! I giornalisti dei media italiani, che avevano dato Erdogan per morto politicamente (basta rileggersi l'esilarante intervista di ieri su La Stampa-La Busiarda), stanno arrampicandosi su vetri, specchi e quant'altro per giustificare il nuovo successo di chi, secondo loro, era già stato sconfitto prima ancora del voto. E non ha vinto di misura, Erdogan, nonostante la rivolta (?) delle piazze, le censure, l'oppressione, il regime e tutto ciò che era comparso sui giornali e sulle tv di un'Italia che scambia i propri sogni e le proprie illusioni con la realtà. Non sono bastate le foto taroccate o le riprese ad hoc per trasformare pochi manifestanti in una rivolta popolare. Non sono bastate le interviste zerbinate al leader dell'opposizione - che assicurava di essere davanti nel testa a testa elettorale per Istanbul ed Ankara - per cambiare il dato di realtà: Erdogan piace ai turchi. E visto che a votare sono i turchi e non i giornalisti italiani, il risultato è facilmente spiegabile. E presto toccherà agli ucraini ribadire quale credibilità abbiano i nostri media. A quanto è data la destra di Kiev? All'1%. Un dato facile da memorizzare per il confronto con il risultato finale delle future elezioni. D'altronde il rapporto con l'estero è sempre molto difficoltoso per l'Italia. E se i giornalisti confondono i loro sogni schierati con la realtà, dal governo del burattino Renzi arrivano altri segnali che confermano non solo la scarsa preparazione e l'ancor minore lungimiranza, ma anche la totale incapacità nel distinguere ciò che è becera propaganda con ciò che è utile o inutile per il Paese. Bisogna ridurre le spese, tuona il burattino. Che spreca soldi a palate per farsi bello con il padrone Obama e poi, per risparmiare, pensa di chiudere le ambasciate italiane nel mondo. Un provvedimento che si può anche accettare, purché segua un filo logico e abbia un senso strategico. Invece niente. A cosa servono, ormai, le ambasciate faraoniche a Parigi o a Berlino o negli altri Paesi dell'Ue? A sprecare montagne di soldi. Stipendi su stipendi per pagare la principale attività, cioé l'apertura e chiusura delle tante finestre dei palazzi. E poi feste e ricevimenti. E' lo stesso spreco imputato alle Regioni che aprono miniambasciate a Roma. Per gli italiani nell'Unione europea servono i consolati, punti di aiuto per le emergenze e di risoluzione di problemi amministrativi. Per il resto è sufficiente una sede di rappresentanza e nulla più. Invece si mantengono sedi costose e si chiudono le ambasciate nei Paesi emergenti. Dove, al contrario, la presenza sarebbe fondamentale per approfittare puntualmente della crescita di questi Paesi. E dove, evidentemente, per gli italiani all'estero manca la copertura che esiste in ciascun Paese europeo. Invece si penalizza l'America Latina, si penalizzano Paesi con grandi potenzialità economiche come la Mauritania. Geniale. D'altronde la lungimiranza è facilmente riscontrabile nella gestione degli istituti di cultura italiana all'estero. Troppi soldi e troppo personale, considerando i risultati. Il modello del Goethe Insitut, attraverso il quale la Germania ha iniziato la penetrazione culturale ed economica in ogni Paese, è sconosciuto agli italiani. Che investono meno, e con personale spesso inadeguato, con il risultato che tutti i soldi investiti si trasformano in sprechi. Se non si può investire molto e bene, si può almeno arrivare al poco e bene. Invece si preferisce il poco e male. Ma si accontenta tanta gente, tanti amici degli amici. E poi si finge di contare qualcosa nel mondo, sapendo che non è vero, perché tanto ci sono i giornalisti di servizio a camuffare la realtà.

Nessun commento:

Posta un commento