lunedì 5 maggio 2014

I fischi all'inno: fratelli di chi?

Dopo la finale di Coppa Italia, tutti i commentatori di servizio si sono sbizzarriti sugli episodi del prepartita, sugli scontri. O anche sulla trattativa, evidente a tutti tranne che alle istituzioni, con Genny La Carogna per far giocare la partita. Si è invece preferito glissare abbondantemente sui fischi, generali, che hanno accompagnato l'inno nazionale. Era già accaduto in Francia, dove a fischiare erano però gli immigrati nordafricani che non si sentono francesi nonostante il parere contrario dei politicamente corretti. Questa volta, a Roma, i fischiatori erano rigorsamente italiani. Ma italiani che fischiano un inno che non è più nazionale ma solo istituzionale. Fischiavano l'inno perché era quello di Grasso e del burattino. E gli italiani, non solo quelli dello stadio, non si sentono più rappresentati né dal presidente del Senato né dal presidente del Consiglio. Quando i sondaggi assicurano che il Pd è il primo partito con oltre il 30% dei consensi, ci si dimentica di far notare che quasi metà della popolazione non vota più e che il consenso reale scende a poco più del 15%. Ed allora ci si stupisce se uno stadio intero fischia l'inno di uno Stato che è diventato nemico? Fratelli d'Italia? Ma quali fratelli? Fratelli dei signori delle istituzioni o fratelli dei precari a vita? E ci si stupisce se un altro stadio, quello di San Siro, si schiera totalmente dalla parte delle vittime delle forze dell'ordine? Perché è vero che rischiano la vita per poco più di mille euro al mese, ma la rischiano per difendere chi? I palazzi delle banche ed i ministeri? La sede di Equitalia ed i palazzi del potere? Ed allora diventa evidente che il distacco tra le istituzioni ed il popolo aumenta ogni giorno di più. Non importa quale sia il partito, l'uomo delle istituzioni è il nemico. Se 10 famiglie italiane hanno un patrimonio analogo a quello di mezzo milione di famiglie di operai, davvero si può credere che tutti si sentano fratelli d'Italia? Se la casta, quella vera e non quella indicata dai media, si fa difendere dalle forze dell'ordine, come si può pensare che tutti gli esclusi si sentano affratellati e rispettosi delle istituzioni? Il solito sociologo di riferimento sostiene che basterebbe chiudere gli stadi e sospendere i campionati di calcio per qualche anno, per far crescere il Paese. Al di là degli interessi economici in ballo - perché, contrariamente a quanto sostengono i rappresentanti delle istituzioni, se una partita si gioca o meno non lo decidono loro ma i diritti tv - la proposta non è assurda. E' assolutamente funzionale al potere. Negli stadi il popolo vessato si ribella perché si sente protetto dal numero, dalla massa. Senza stadi, tutti si sentirebbero isolati e non avrebbero il coraggio di reagire ai soprusi. Se far crescere l'Italia significa aumentare il numero di pecore belanti a comando, allora è giusto eliminare il calcio e chiudere gli stadi. E non punire soltanto chi commette atti di violenza, ma anche chi fischia. Perché il potere non ama i fischi e le contestazioni. Forse si dovrebbe offrire un biglietto omaggio agli uomini delle istituzioni. Non per andare allo stadio, ma al cinema. A vedere l'ultima parte del Gladiatore. L'imperatore nel circo come il burattino ed i suoi compari allo stadio. Ma forse, a questi esponenti dell'Italia 2.0, i riferimenti storici non interessano..

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