martedì 27 ottobre 2015

Basta con i pastori, pascoli solo alle multinazionali

Amate i formaggi di alpeggio, quelli con gusti forti che ricordano i fiori e le erbe che hanno mangiato vacche, capre e pecore nei loro pascoli montani? Potete dimenticarli. Così come il latte più saporito o la carne più gustosa. E non ci sono soltanto i signori dell'Oms a voler stravolgere millenni di tradizioni alimentari. Chissà come han fatto a svilupparsi tutte le civiltà - da quelle europee a quelle asiatiche - considerando che le carni rosse sono state divorate ovunque e l'umanità non si è estinta. Ora il nuovo attacco sta per arrivare dall'interno. Con un documento in cui, per tutelare il lupo, si sosterrà che in montagna devono sparire i piccoli allevamenti, le greggi con pochi animali, gli alpeggi con un numero ridotto di vacche o capre. In montagna dovranno rimanere solo gli allevamenti delle multinazionali, con migliaia di bestie che devastano un territorio. Oppure, meglio ancora, si dovranno incrementare le attuali politiche truffaldine, quelle che assegnano gli alpeggi ai grandi gruppi che, poi, le bestie in montagna non le portano perché il costo e' eccessivo. Certo, ogni tanto qualche organizzazione agricola e degli allevatori finge di protestare, poi basta la possibilità di farsi un selfie con il bugiardissimo e la protesta svanisce per lasciar spazio all'omaggio servile. Intanto, mentre nei palazzi romani e nelle università si discute di come difendere il lupo, i rischi sono destinati ad aumentare non solo per i pastori ma pure per i turisti. E non per gli attacchi dei lupi, ma per gli assalti dei cani da pastore. Addestrati ad essere aggressivi per difendere vitelli ed agnelli dai lupi, diventano sempre più aggressivi anche nei confronti degli escursionisti. Ovviamente nelle università lontane dalle montagne questi particolari sfuggono o sono considerati irrilevanti. Così come sono irrilevanti per i politici che si fingono amici della montagna ma che sono sempre pronti a baciare la pantofola del bugiardissimo e della sua squadra. Salvo, poi, andare in giro a piangere perché la crisi frena il turismo, perché i soldi sono sempre meno per i propri territori, perché bisogna tagliare sulle prestazioni a favore dei bambini, degli anziani, dei malati. Basta un selfie, però, ed il sorriso ritorna. E chissenefrega dei bambini, degli anziani, dei malati, dei pastori e degi escursionisti.

lunedì 26 ottobre 2015

La Polonia ha votato contro il pensiero unico

Anche la Polonia sulla scia dell'Ungheria e della Slovacchia. Ma pure Praga non è molto lontana. Una  parte sempre più consistente dell'Europa sta rifiutando la demenziale politica pro invasori di Bruxelles e della Merkel. E se l'Ungheria ha sacrosante ragioni, perché era stata invasa da decine di migliaia di ospiti non invitati, la Polonia ha bocciato quella che, per il momento, e' solo una minaccia. Perché gli invasori, in Polonia, sono pochissimi, ma se dovesse essere accettata la politica anti europea di Bruxelles, nessun Paese si salverebbe dalla cancellazione della propria identità e della propria storia. Il voto polacco e' un voto in difesa di una cultura, di una tradizione. Contro una politica dello sfruttamento e dell'utilitarismo imposta dagli euro idioti, burocrati e tecnocrati. Gli invasori sono utili, secondo loro, mentre le radici dei popoli non servono a nulla. Anzi, sono di impaccio. Sono retaggi di un passato da dimenticare, da cancellare. Per correre incontro ad un futuro dove l'appartenenza è un ostacolo cancellato. Dove i sentimenti sono stati eliminati perché inutili, dove l'ambiente è stato saccheggiato perché bastano parchi gioco per far divertire i bambini, convinti che quella sia la natura. Un attacco globale, con gli articolo dei dis informatori che spiegano quanto sia meglio rinunciare alla bistecca alla fiorentina o alla salsiccia per dedicarsi invece al consumo di insetti e di alghe. La cultura e la tradizione passano anche attraverso il cibo, dunque bisogna eliminare dalle tavole ogni legame territoriale, ogni riferimento al passato. Poi provvederanno le multinazionali a produrre Ogm che consentano di coltivare la papaya sulle Alpi e le mele trentine nel deserto. Un pensiero unico, dal cibo al sesso, dalle auto all'abbigliamento. Purché il voto polacco non sia contagioso.

giovedì 22 ottobre 2015

Libertà di parola per Erri, non per Cimmino

Tutti entusiasti per l'assoluzione di Erri De Luca. La libertà di pensiero e di parola ha trionfato. E vai con la retorica, con i dotti discorsi sulla libertà di espressione da garantire a chiunque, a prescindere dalle idee professate. Che meraviglia! Basterebbe credere che questa sia la realtà e non soltanto l'ennesima truffa. Perché lo stesso mancato martire De Luca, nelle interviste rilasciate dopo la sua assoluzione, chiarisce che il verdetto era doveroso ma che la libertà di parola e di espressione non vale per tutti. Per lui si', per i suoi avversari no. Coerenza del mancato martire. Tanto i suoi nemici, oltre a non aver diritto di parola, non hanno neppure la possibilità di farsi riconoscere come martiri. E quello del prode Erri non è un caso isolato. A Bergamo, città guidata dall'imprenditore ed ex divo della tv Giorgio Gori, si vieta la partecipazione ad ogni iniziativa storico culturale relativa alla Prima guerra mondiale all'unico vero studioso cittadino del conflitto. Motivo: non è politicamente corretto. E gli studi sull'argomento? Le pubblicazioni d prestigio? I riconoscimenti ottenuti ovunque? Non contano nulla, sono irrilevanti. Anzi, un poco fastidiosi. Perché  non si può accettare che il maggior esperto cittadino sia politicamente scorretto e vada a confrontarsi con chi è meno preparato di lui ma, in compenso, e' sostenuto dai soliti noti. Ma non erano tutti Charlie? Non eran sempre tutti pronti a riempirsi la bocca con Voltaire e con l'immancabile citazione "Non condivido la tua idea, ma darei la vita perché tu la possa esprimere"? Beh, insomma, mica tutte le idee. Solo le loro. Con qualche leggera sfumatura, ma nulla di più e di più diverso. Le vestali della democrazia trasformate in lerci inquisitori. D'altronde controllano la dis informazione. E allora il prof Cimmino, bergamasco, può andare a parlare della prima guerra mondiale in tour per l'Italia o per l'Europa. Ma a Bergamo no, non è gradito. Strano che nessuno dei noti intellettuali italiani abbia firmato un manifesto in difesa della libertà di pensiero e di parola, o abbia iniziato uno sciopero della fame.

mercoledì 21 ottobre 2015

In Siria la guerra e' finita, ma non ce l'hanno detto

La guerra in Siria? E' finita. La pace deve essere stata firmata a nostra insaputa visto che le notizie relative a quello che, si o a poche settimane fa, era un conflitto spaventoso sono state eliminate dai principali organi di dis informazione. Prima, quando la coalizione occidentale bombardava il deserto senza creare fastidi ai tagliagole dell'Isis, l'informazione era precisa, puntuale, costante. Falsa, totalmente falsa, ma ci siamo abituati. Con pagine e pagine di reportage sulla guerra, sull'ineluttabile espansione dell'esercito del califfo, sui drammi delle popolazioni. Su tutto e su tutti. Poi, da quando gli aerei russi sono intervenuti e la guerra al terrorismo e' iniziata davvero, le notizie sono scomparse. L'esercito legittimo di Assad sta riconquistando il terreno perduto? Probabile, ma non lo si raccontar gli aerei russi hanno colpito le colonne dei tagliagole che trasportavano petrolio? Si', ma meglio evitare di farlo sapere. Meglio non ammettere che l'intervento russo si sta rivelando molto più efficace del preciso e, soprattutto, molto più utile di quello americano per sconfiggere l'Isis. Perché scriverlo e raccontarlo significherebbe introdurre un tarlo nei cervelli degli italiani manipolati. Perché il più forte esercito del mondo, del Paese più ricco del mondo, non ha ottenuto il benché minimo risultato e quello degli straccioni russi sta vincendo? Perché, sotto le bombe americane, l'Isis continuava ad espandersi e sotto quelle russe e' costretto a ritirarsi? Ma un dubbio si insinua lo stesso: perché i giornali italiani, che vantano sempre correttezza ed indipendenza, ora censurano le notizie? La Busiarda di Torino, che non perdeva un colpo nel narrare la debolezza di Assad e la crisi irreversibile di Putin, perché ora tace sulla situazione in Siria? Forse perché da Detroit e' arrivato l'ordine di non disturbare Washington? Se non ci fosse il web, se non ci fossero i social, in Italia si potrebbe davvero pensare che la guerra sia finita, che la pace sia stata firmata. Ovviamente grazie ad Obama.

martedì 20 ottobre 2015

Nel sonno di Salvini e Meloni riappare Berlu

Berlu torna in campo. Contro il bugiardissimo? No, ovviamente. Contro Salvini. Per recuperare la leadership del centro destra e garantire la sconfitta al prossimo giro. D'altronde, dopo una primavera con i botti ed un'estate in calando, l'autunno ha silenziato il lider maximo della Lega. I sondaggi non lo premiano più ed anche la vicenda giudiziaria della Regione Lombardia, dove in galera e' finito un esponente di FI, ha penalizzato più la Lega che non il partito di Berlu. Giusto, in fondo. Così Maroni impara a farsi guidare dalla compagnia delle opere e da CL. Ma tutti i grandi progetti di Salvini dove sono finiti? Tutti i gruppi di intellettuali che aveva citato Antonio Rapisarda nel suo "All'armi siam leghisti" sono evaporati? O, semplicemente, si sono stancati di aspettare il salto di qualità della Lega?  Dove è finita l'elaborazione di un programma d'avanguardia basato sul lavoro dei think tank? Cosa e' rimasto, oltre alla felpe con le scritte? E allora diventa inevitabile una ripresa di Berlu, che del nulla cosmico e' l'imperatore assoluto. Banalità e luoghi comuni, accompagnati da colpi da maestro come la visita in Crimea insieme a Putin. La Lega filo russa, giustamente filo russa, non ha fatto decollare i suoi progetti impreditoriali basati sui rapporti con Mosca e Berlu si è ripreso la scena internazionale proprio alla vigilia dell'offensiva russa in Siria. Chapeau! Era inevitabile, considerando che Salvini ha affidato a persone sbagliate il rapporto internazionale. In teoria esisterebbe anche Meloni, sulla scena. Anzi, i sondaggi la pongono in cima alle preferenze. Per quel che valgono i sondaggi e tenendo conto che Fdi resta al di sotto del 5% anche nei sondaggi più favorevoli. Ma i programmi di Meloni, al di la' delle beghe sui soldi della Fondazione di An? Il ruolo internazionale di Meloni? Il ruolo extraurbana o di Meloni? Dove sono finiti i tanti progetti annunciati in vista dell'assemblea? Dove è finita l'attività della Fondazione? Un altro inutile convegno sul nulla o sul nostalgismo più sterile, magari? Così un centro destra sempre più stantio si ritrova a fare i conti con Berlu. Il sonno degli altri leader genera il ritorno del cavaliere disarcionato.

lunedì 19 ottobre 2015

La montagna tradita dalla sinistra, abbandonata dalla destra

Se un libro come "La costruzione delle Alpi", di Antonio De Rossi, vince meritatamente la sezione scientifica del Premio Acqui Storia, significa che il tema della montagna e' tornato al centro dell'attenzione, perlomeno tra chi riesce ad avere uno sguardo che vada oltre il proprio minimo spazio vitale. Ma occuparsene non significa capire. Le demenziali, o criminali, affermazioni a proposito della necessità di utilizzare le montagne come area di popolamento affidata agli invasori non dimostrano una grande capacità di comprendere le necessità e neppure le opportunità della montagna. Le terre alte non hanno bisogno di sradicati che favoriscano lo sradicamento di chi, in montagna, ci vive perché ha le proprie radici. Le terre alte si spopolano, e non si ripopolano perché agli "autoctoni" (come vengono definiti i montagnards da parte di chi li vorrebbe eliminare per farli sostituire dagli invasori) vengono negati i diritti e le risorse che, non a caso, si trovano per gli invasori. Ognuno dei nuovi arrivati costa mille euro al mese, pagati dai contribuenti italiani. Chi vuole ripopolare le Terre Alte ha solo da offrire 4mila euro, al mese, ad una famiglia italiana di 4 persone e si accorgerà che ci sarà la fila per trasferirsi in montagna. E la ridotta natalità degli italiani? Gli stessi mille euro al mese per ogni figlio e le culle si riempiranno. Invece quando si tratta di autoctoni, le risorse non ci sono. E' un anno che, in Piemonte, la strada per Elva e' interrotta, obbligando gli autoctoni a raddoppiare il già lungo e scomodo percorso per scendere a valle. Ma, in nome della sicurezza, i soldi per ripristinare la strada non si trovano, i tavoli di discussione servono solo a incontri inutili. E la neve sta tornando. D'altronde, al di la' delle idiozie politicamente corrette, la politica non va. Il Pd e' interessato solo a sostituire gli autoctoni con gli invasori, la destra si è trasformata da romanocentrica in romana e basta, fregandosene completamente dei monti e delle valli. I 5 stelle sostengono l'invasione, così come la sinistra vera. E la Lega dorme. In fondo e' giusto così. Se i montagnards non trovano la voglia e la capacità di far sistema, di collaborare, di far politica, andranno incontro all'eliminazione. Invece delle riserve per gli indiani, ci saranno posti di lavoro come inservienti nelle società che gestiscono gli impianti di risalita, o come portatori di piatti di cous cous.

venerdì 16 ottobre 2015

Frana l'Italia dell'ipocrisia politicamente corretta

Piove, governo ladro. Oppure c'è il sole, ma la situazione non cambia. Anni e anni di parole al vento e poi basta un po' di vento, quello vero, per abbattere gli alberi; e una pioggia solo un po' intensa allaga le strade, fa straripare i fiumi. Per non parlare delle frane, degli smottamenti, dei cedimenti. Un territorio disastrato, dalle Alpi al mare di Sicilia. E per le popolazioni colpite c'è sempre e solo l'intervento di emergenza. Che costa infinitamente di più rispetto a normali interventi di manutenzione del territorio, senza contare i morti, i feriti, le attività economiche distrutte, le case devastate, gli aspetti umani in ogni loro forma. Eppure si continua così. Nella migliore delle ipotesi per pura mancanza di lungimiranza. Si evita di spendere per la tutela del territorio sperando che non succeda nulla e così i soldi vengono risparmiati. Ma, spesso, si scommette sul disastro per guadagnare di più. Perché l'emergenza limita i controlli, permette di spendere e sprecare con l'alibi dell'urgenza. Se, invece, si lavorasse per la tutela dell'ambiente, si dovrebbero fare gare regolari, si dovrebbe garantire una maggiore trasparenza. Eppure l'ambiente garantirebbe ricadute occupazionali consistenti, invece di obbligare i soldati a spazzare il fango dopo le alluvioni. Nuova occupazione che genera nuovi introiti fiscali, nuovi consumi, maggiori opportunità e speranze per i giovani. Si potrebbero, così, occupare con lavori appropriati i laureati in varie materie, dalle scienze forestali all'ingegneria idraulica. Si creerebbero competenze, si favorirebbe la qualità. Ed un territorio sano favorirebbe anche il turismo. Invece si sceglie la strada dell'emergenza continua. In città come in montagna, al mare ed in campagna. Per i siti archeologici e per quelli industriali. L'Italia del magna magna, della speculazione edilizia, dello sfruttamento del suolo. L'Italia che, poi, si lava la coscienza favorendo la proliferazione del lupo sulle Alpi. Per la gioia degli animalisti, che in montagna vanno  in pochi fine settimana all'anno, e per la disperazione dei pastori che in montagna ci vivono e ci lavorano. Lupi liberi di assalire agnelli e vitelli, pastori impediti di difenderli perché non è politicamente corretto. Poi si fa finta di stupirsi se la montagna perde la propria gente ed il territorio,non più curato, frana a valle. Se i torrenti, non più puliti, riempiono i fiumi che, a valle, straripano ed invadono campagne e città. L'Italia dell'ignoranza e dell'ipocrisia. Ma tanto corretta politicamente.

giovedì 15 ottobre 2015

I dirigenti italiani? Analfabeti. Terrorizzati dai libri

Tutti si lamentano sempre del pessimo livello della nostra classe dirigente. Tutti? Beh, non proprio. Anzi, la maggior parte degli italiani (Franza o Spagna purché se magna) si entusiasma di fronte a qualsiasi manifestazione del potere. Cupio servendi, e si vede in ogni circostanza, in ogni luogo. Che si tratti di potere politico od economico, televisivo o musicale. Il logico ed inevitabile frutto di una colossale ignoranza totalmente italiana. Quanti sono i "non lettori" in Italia? Il 58,6% della popolazione non legge neppure un libro all'anno, a fronte del 37,8% della Spagna e del 30% della Francia. I dati sono quelli ufficiali, dell'Aie. Ma l'ignoranza crassa della nazione si rispecchia in quella della classe dirigente. Tra i dirigenti ed i professionisti il 39,1% non legge neppure un libro. In Francia e Spagna la percentuale scende al 17%. Anche analizzando solo i laureati la situazione non migliora: il 25,1% degli italiani rifiuta la lettura contro il 9% dei francesi e l'8,3% degli spagnoli. Al di la' di ogni altro discorso sulla taccagneria degli imprenditori che non investono, e' da questo dato sull'ignoranza che occorre ripartire. Non si può essere competitivi se non si conosce la realtà, se non ci si informa, se non ci si aggiorna. La cultura non è un optional, ma un elemento fondamentale della crescita personale e di quella professionale. In Italia, invece, e' considerata una perdita di tempo, un lusso per pochi, un fastidio per tutti. E una classe dirigente ignorante e' destinata a far aumentare l'ignoranza della popolazione. Così il Centre national du livre francese ha un budget di 33 milioni di euro, il Centro per il libro italiano dispone di 1 milione e lo usa pure male. Ed allora diventa quasi una eresia, una sfida, l'annuale consegna del Premio Acqui Storia. Sabato saranno premiati Paolo Isotta, Franco Cardini, Licia Giacquinto, Antonio De Rossi, per i loro scritti di carattere storico. E al loro fianco ci saranno i Testimoni del Tempo, a partire da Pietrangelo Buttafuoco per arrivare a Dario Ballantini, passando per Italo Cucci, Antonio Patuelli e Rita Parsi. Con il premio alla carriera assegnato a Giuseppe Galasso. Due mondi che non si incontrano mai. Da un lato, ad Acqui, il meglio della cultura nazionale. Dall'altro tutta l'Italia, quella degli analfabeti di ritorno. Peccato che siano proprio questi ultimi a guidare il Paese

mercoledì 14 ottobre 2015

Siamo nel trentennio della crisi anti globalizzazione

Finita la guerra dei 30 anni (1914-1945, con un po' di sforamento), finiti i 30 anni gloriosi successivi ed i 30 anni seguenti, della globalizzazione, siamo ormai nel pieno dei 30 anni della crisi. E la crisi sta, finalmente, facendo comprendere che la globalizzazione non era la panacea di tutti i mali, come era stato raccontato, ma la fonte della crisi successiva. Inevitabile. Così, non appena gli Usa hanno imposto il trattato di libero commercio ad alcuni Paesi del Pacifico, sono immediatamente iniziate le proteste. E sono iniziate proprio negli USA. Anche perché nei Paesi partner si è accuratamente evitato di spiegare i problemi colossali che nasceranno dopo la ratifica del trattato. Ma non è che in Europa si racconti molto di più sulle conseguenze del trattato in preparazione sul fronte atlantico. Carni agli estrogeni, Pmi strangolate dalle multinazionali, giudizio sui contrasti affidato ai tribunali americani. C'è anche un altro aspetto su cui si sta sorvolando. Molti economisti si sono accorti che il mercato globale non cresce più come previsto da loro. Le transazioni internazionali frenano e crescono i Paesi che puntano al rilancio dei mercati interni. Ciò non significa, ovviamente, che si torni all'autarchia o che l'export sia destinato a crollare. Ma, semplicemente, che di solo export non si vive e, anzi, si muore. Riportare a 3mila euro la soglia degli acquisti in contante in Italia non è solo l'ennesima furbata del bugiardissimo per conquistare potenziali evasori. E' la risposta ad un cambiamento economico mondiale, questo si' globale. Peccato che il bugiardissimo non possa spiegarlo, perché non sarebbe politicamente corretto. Perché significherebbe negare la globalizzazione nel suo insieme, comprese le invasioni favorite da questo governo. Meglio far credere che il rilancio dei consumi interni sia solo una furbata, ci sono meno rischi.

lunedì 12 ottobre 2015

Lasciate lavorare rapinatori e ricettatori

Il lavoro nobilita l'uomo. Solo attraverso il lavoro si conquista la dignità. Quante frasi ad effetto sul lavoro. La realtà e' un po' diversa. Perché appena un poco di lavoro e' tornato in Italia, il numero dei morti sul lavoro ha ripreso a crescere. Ed i morti sono aumentati, percentualmente, molto di più di quanto siano aumentati i lavoratori. Grazie, bugiardissimo. Ma le assurdità delle dichiarazioni non si limitano alle menzogne del premier o alle banalità dell'addormentato al piano di sopra. Il concetto di lavoro e' ormai cambiato, al Nord come al Sud. A Napoli la famiglia di uno dei delinquenti ammazzati dall'imprenditore che cercavano di rapinare, ha spiegato che a sbagliare e' stato l'imprenditore. Non il marito che era un onesto lavoratore del crimine da decine di anni. Tutt'al più, ma solo tutt'al più, avrebbe potuto essere arrestato. Peccato che le forze dell'ordine non ci fossero e, soprattutto, peccato che qualcun altro non lavora molto per tenere in galera uno che, da sempre, vive solo di crimine. Forse ora la famiglia pretenderà che il rapinatore sia considerato un caduto sul lavoro. Ma al Nord e' la stessa cosa. A Torino la gente onesta e lavoratrice di un quartiere e' scesa in piazza per bloccare un mercatino di merce di dubbia provenienza. Mercatino del tutto irregolare e, dunque, assolutamente permesso dal Comune. Non importa se viene venduta merce rubata, non importa se nessuno paga le tasse su questo commercio. Loro, i venditori, hanno protestato perché i cittadini impedivano di lavorare. E l'assessore ha chiarito che anche se la merce suscita qualche dubbio, lui mica può mandare l'esercito. D'altronde ladri e ricettatori a Torino vivono tranquilli. C'è altro di cui deve occuparsi la magistratura locale. Ad esempio della Volkswagen. Quanto alle forze dell'ordine, eventualmente verranno spedite contro i cittadini. Perché lo Stato deve punire chi non emette uno scontrino, non chi vende roba rubata. Mica si può lavorare su tutti i fronti

mercoledì 7 ottobre 2015

Tutti riscoprono la cultura per la politica e per gli affari. Qualcuno per il gusto

Ripartire dalla cultura. Uno slogan per tutti e per tutte le stagioni. Lo usa il sindaco di Torino in vista delle prossime elezioni, lo usano a destra per spiegare come utilizzeranno i tanti soldi della Fondazione An, lo usa il ministro Franceschini per giustificare il suo ruolo. Lo usano gli operatori turistici, sperando che i potenziali visitatori abbocchino e arrivino, per poi scoprire che di cultura se ne fa davvero poca. La cultura come traino per l'enogastronomia ed il rilancio delle sagre, la cultura soprattutto come opportunità per offrire lavoro e guadagni agli amici ed ai parenti. E poi ci sono le eccezioni positive. Quest'anno, ad esempio, persino il Corriere della Sera ha scoperto che l'Acqui Storia e' il più prestigioso premio letterario storico di tutta Europa. Come ha fatto ad accorgersene? Semplice, in una delle tre giurie sono arrivati nuovi giurati, tutti espressione della sinistra "vera". Quindi, di colpo, le polemiche giornalistiche contro il premio sono cessate e sono arrivati gli applausi dell'informazione politicamente corretta. La nuova maggioranza in giuria ha provocato sconquassi? Macché. Il vincitore ha ottenuto l'unanimita', perché i giurati, vecchi destri e nuovi sinistri, sono persone corrette e competenti che, come in passato, hanno votato la qualità e non per ordini di schieramento. Paradossalmente, ma neanche tanto, gli scontri maggiori si sono registrati dove le giurie, secondo i dis informatori di professione, sarebbero state politicamente omogenee. Ma, appunto, cosa capiscono di cultura i dis informatori? Eppure, contrariamente a quanto pensava Tremonti (chi?), di cultura si vive, con la cultura si lavora e si mangia. Anche in modo onesto, quando è gestita bene. Invece l'Italia e' divisa tra una sinistra che ne approfitta, e ci lucra abbondantemente oltre ad utilizzarla come ufficio di collocamento per le proprie truppe, ed una destra che non sa neppure cosa sia e che è convinta che ci si possa tranquillamente confrontare con gli avversari puntando su giovani disoccupati senza esperienza ed anziani pensionati pronti a rinunciare alle bocce o alla visita ai cantieri per organizzare grandi manifestazioni di richiamo internazionale. In mezzo ci sono quelli che se ne fregano degli schieramenti e lavorano per proprio conto. Come la Mondadori che si mangia la Rizzoli. Oppure come i tanti piccoli editori che si arrangiano cercando di puntare sulla qualità. Ma ci sono anche iniziative intelligenti dei singoli scrittori. Come quelli che, nel settore dei gialli, hanno dato vita a Torinoir, un gruppo che ha come collante non l'ideologia ma solo la passione per il genere poliziesco. E che ha capito che solo insieme si riesce a pesare, a contare qualcosa. Quando di scrittura si poteva anche vivere gli autori si ritrovavano nei caffè. Ora che per vivere devono fare altri lavori, e che non possono più permettersi di occupare per ore un tavolino ordinando bibite e tramezzini, si ritrovano sul web. Per organizzare iniziative culturali, per promuovere i libri. Senza bisogno di essere Mondadori.

martedì 6 ottobre 2015

Obama si arrabbia per i successi di Mosca

Prima il fantasmagorico Obama ha spiegato che l'intervento russo in Siria non sarebbe servito a niente. Poi ha protestato perché l'intervento serviva ma i russi bombardavano i ribelli addestrati dagli USA (gli stessi eroici combattenti che, la settimana prima, avevano regalato le armi agli uomini di Al Qaeda); quindi, dopo aver fatto bombardare un ospedale di Msf in Afganistan, ha protestato perché i bombardamenti russi contro l'Isis si dimostravano efficaci e spaventavano i tagliagole. Ed ora, insieme alla NATO, ha ordinato ai russi di metter fine all'intervento per evitare di far arrabbiare i terroristi. Siamo alla demenza pura trasformata in politica estera. E questi cialtroni possono permetterselo solo perché la dis informazione al servizio del potere, nei rispettivi Paesi, evita accuratamente di far notare l'assurdità della sequenza. Perché una informazione meno ignobile avrebbe fatto notare che l'ultima accusa rivolta ai russi - quella di far arrabbiare l'Isis - equivale ad una vergognosa ammissione di non aver fatto nulla per contrastare i tagliagole. Vuol dire che i bombardamenti della coalizione erano una farsa. Ma ora i politicamente corretti vogliono spostare il confronto con la Russia sul tavolo del futuro della Siria e di Assad. Tanto per far dimenticare la situazione sul fronte armato. Per il think tank debenedettiano, però, staremmo assistendo ad una geniale operazione di Obama che avrebbe attirato Mosca nella trappola siriana affinché si impantani come e' successo in Afganistan. Dove i russi erano presenti con truppe sul terreno, in Siria no e la differenza e' sostanziale. In realtà siamo di fronte ad una versione della volpe e l'uva. Gli Stati Uniti, che stanno recuperando posizioni in America Latina - colpevolmente dimenticata da Mosca - stanno perdendole nel Mediterraneo. Per incapacità, anche se i tifosi degli USA sostengono si tratti di una scelta strategica. Di sicuro una minor presenza americana significherà minori errori nella nostra area. Ed è un peccato che l'incapacità dell'Unione europea lascerà campo non solo alla Russia, ma anche alla Turchia, all'Egitto, mentre si affaccia anche Pechino .

lunedì 5 ottobre 2015

La destra affonda. Qualcuno parte, qualcuno riparte

Marco Valle non è mai stato un personaggio da risentimento, da scaramucce nei corridoi del mondo della destra. Per sua (enorme) fortuna non ha mai avuto la necessità di provare invidie, gelosie. Ed allora quando Valle, su La Destra.it, spiega che dopo l'assemblea di Fdi non ci sono motivi per sorridere, per festeggiare, bisogna credergli. "Brutto spettacolo", l'ha definito. Uno spettacolo per pochi, perché non è che i media si siano dannati l'anima per raccontarlo con dovizia di particolari. Eppure spunti ne avrebbero avuti, a partire da Aledanno che si è ringiovanito per andare a guidare la pattuglia di quarantenni. O da Fini che aleggia sempre nei paraggi. Un'assemblea per ripartire? A leggere i commenti sui social,parrebbe di no. Adieu, addio, ciao ciao. Una salva di annunci di abbandono definitivo. Magari quelli che restano saranno contenti, si liberano di una zavorra di astio, di rabbia, di frustrazione, di polemica. Tutti sentimenti assolutamente comprensibili e giustificati. Ma si va avanti. Con la Fondazione che investirà sulla cultura. Chissà quale cultura, visti gli esempi offerti sino ad ora. Una brillante commemorazione di qualche defunto? Un tour delle pentole a Gardone? Una innovativa affissione di manifesti? C'è solo l'imbarazzo della scelta. Ma il finale dell'intervento di Valle apre prospettive diverse. "Da qui l'urgenza di un centro propulsore, un laboratorio di pensieri lunghi, un motore di intelligenze. Con la necessaria benzina e nuovi piloti.. Da domani iniziamo". Un uomo che non si arrende. E da domani vedremo con chi vorrà costruire il laboratorio, con quanta benzina e con quali piloti.

venerdì 2 ottobre 2015

Marino, l'arciitaliano perfetto contro il bugiardissimo ed il Papa

Il bugiardissimo ha finalmente un avversario con grandi potenzialità. Non si tratta di Salvini o di Grillo. L'unico vero concorrente per guidare l'Italia e' Ignazio Marino. L'arciitaliano, il perfetto rappresentante dei difetti nazionali. Tutti insieme, nella stessa persona. Bugiardo come il suo rivale potenziale, sempre pronto a scaricare le colpe e gli errori su qualcunaltro, sempre scattante quando si tratta di prendersi meriti che non gli competono. Ma dove il sindaco di Roma e' insuperabile e' nel pressappochismo. A differenza del bugiardissimo, che non sa ma finge di sapere, l'arciitaliano se ne frega di cosa pensano gli altri: propina la sua versione inverosimile dei fatti e va avanti così. Se ne frega di non essere credibile, di non essere adeguato, di non saper far nulla. Va bene così. Il suo attacco al Papa e' un capolavoro mariniano. Ovviamente non poteva accusare Bergoglio di aver mentito sull'inesistente invito a Filadelfia. Ed allora il sindaco di Roma, ma anche primo cittadino degli italiani tutti, ha spiegato che il Papa doveva lasciar correre, ignorando la domanda perché lui, il Papa, in America si era occupato dei massimi sistemi e, dunque, doveva far finta di nulla sull'inopportuna presenza di Marino negli Stati Uniti. E l'incapacità nell'affrontare la pioggia sulla città? Colpa del padreterno, mica del sindaco. E la delinquenza? Primo, non esiste, secondo, se esiste e' colpa degli sbirri. L'abusivismo selvaggio degli invasori? Colpa dei fascisti. La sua innata antipatia e l'incapacità di confrontarsi con i cittadini? Colpa dell'ufficio stampa. C'è sempre un responsabile, per qualsiasi sua mancanza. Crolla il soffitto nella metropolitana? Colpa di Giulio Cesare e magari anche di Romolo. E allora un uomo così non può restare confinato a fare il sindaco. Deve governare il Paese, magari anche l'Europa, il mondo intero. Certo, bisognerebbe che qualcuno lo invitasse, ma l'imbucato d'Italia riuscirà a sostituire Ban Ki-moon anche senza invito, facendo credere a Putin che sia stato Obama a volerlo e raccontando a Obama che è stato Putin a supplicarlo di accettare la segreteria generale dell'ONU.

giovedì 1 ottobre 2015

Merkel in crisi, tra Volkswagen e Baviera

Piove sul bagnato. In Italia? No, qui anche quando diluvia, il bugiardissimo ed i suoi sgherri della dis informazione assicurano che splende il sole. E' in Germania che piove, anzi grandina, sulla Merkel e le sue idiozie. Grazie anche ad una classe dirigente privata che ha dimostrato la medesima cialtroneria di quella di altri Paesi, a partire dall'Italia tanto vituperata. Prima hanno provveduto i banchieri tedeschi, truccando (con la complicità delle agenzie di rating americane) i dati della Grecia. Ma i media di servizio tedeschi, e non solo tedeschi, hanno nascosto tutto. Poi ha provveduto la Merkel a mettere a rischio la sopravvivenza dell'Unione europea con le criminali politiche economiche imposte ad Atene. La cancelliera e' andata avanti nella distruzione dell'Europa con la sua demenziale politica sull'immigrazione. Creando casini e disastri in tutti i Paesi dell'Est, favorendo ondate di invasori sempre più frequenti. E infine è arrivata la vicenda Volkswagen, che magari non è neppure limitata alla Volkswagen ma che evidenzia come il profitto sia l'unica regola valida anche in Germania. Basta? No, non basta. Perché adesso cominciano i problemi di politica interna. La cancelliera ha scaricato il problema degli invasori innanzi tutto sulla Baviera. Dove regna la Csu, storica alleata della Cdu della Merkel. Ora, però, i bavaresi si sono accorti che gli invasori sono troppi, sono ingestibili. E protestano, ironizzano, polemizzano. Mentre scoppiano incidenti nei centri di accoglienza, con feriti tra gli invasori e pure tra i poliziotti. In tutta la Germania stanno crescendo i consensi ai movimenti che si oppongono alla demenziale politica della Merkel e la Baviera sta pensando di introdurre, senza il permesso di Berlino, regole per respingere gli invasori. Ne è passato del tempo da quando Merkel e quell'altro genio di Sarkozy ridacchiavano sull'Italia.