martedì 12 aprile 2016

Gli USA preparano i nuovi condizionamenti TV per l'Europa

La Cina si è comprata gli studi cinematografici di Hollywood. Altrettanto ha fatto il Qatar. E Pechino si è presa anche un paio di catene di cinema americani. In compenso gli americani di Netflix hanno in programma una serie di film e telefilm destinati al mercato europeo per condizionare l'opinione pubblica del Vecchio continente. Film non sugli USA, ma su vicende europee, sulla vita europea da interpretare secondo il modello americano. Nulla di illegale. E nulla di clamorosamente nuovo. D'altronde i contenuti "europei " che saranno prodotti dal nuovo polo franco italiano Vivendi-Mediaset non saranno molto diversi. Quelli cinesi, probabilmente, si differenzieranno. Utilizzando professionalità e competenze americane per veicolare messaggi e ideologie cinesi. E lo stesso dovrebbe capitare per il Qatar. L'assenza di una visione europea non è certo una novità. L'Europa ha cancellato la propria identità e le proprie radici, dunque non ha messaggi e visioni del mondo da trasmettere. Ma ci sono altri Paesi che stanno, colpevolmente, rinunciando ad un seppur minimo ruolo nella guerra del soft power. La Russia, in primo luogo. In una intervista rilasciata al Nodo di Gordio e ripresa dal Giornale.it, il vicedirettore dell'istituto russo di studi strategici ha sostenuto che il soft power è sopravvalutato. Una dichiarazione che ricorda la favola della volpe e dell'uva. La Russia non sa agire su questo fronte e, invece di recuperare le posizioni, cerca di sminuire l'importanza di ciò che è fondamentale per tutto il resto del mondo. Dalla Corea del Sud che punta sulla musica alla Scandinavia che utilizza l'architettura, dall'Iran che valorizza la storia persiana ai Paesi latinoamericani che puntano sul passato di Incas, Maya e Atzechi. Chi non ha una grande storia alle spalle, come gli USA, sceglie cinema, TV, letteratura. I Paesi del Golfo utilizzano i capitali per acquistare squadre di calcio e centri commerciali. Anche l'India sceglie la strada dell'influenza attraverso acquisizioni di aziende. Mosca resta a guardare. E si stupisce se, in occasione di interventi militari sacrosanti, riceve critiche invece di applausi. Si stupisce se l'export russo, al di là degli idrocarburi, non decolla. Se l'arte russa resta di nicchia e la cucina russa è ignorata. Dimenticati i grandi scrittori del passato, ignorati gli intellettuali del presente. Forse questo soft power andrebbe studiato anche a Mosca

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