martedì 5 aprile 2016

Solo Poletti nega il fallimento di Garanzia Giovani

Nel governo del bugiardissimo non stupisce che i vari ministri si esibiscano in dichiarazioni prive di ogni riscontro con la realtà. Così il ministro Poletti può dichiararsi soddisfatto per l'andamento della Garanzia Giovani anche se a tutto il resto del mondo è chiaro che si tratti di un totale fallimento. Pagato, per di più, a caro prezzo con soldi pubblici. E non importa se sono soldi europei, statali o regionali: sempre di denaro pubblico si tratta, versato dai sudditi con le tasse estorte. Già è indecente la percentuale di coloro che sono stati inseriti in qualche azienda rispetto al numero delle domande presentate. Ma è ancora più indecente scoprire cosa hanno fatto i giovani, nelle aziende, con i soldi pubblici. Laureati destinati a far fotocopie, ad aprire la porta, a sistemare scartoffie. Nulla, insomma, che avesse a che fare con gli studi, con la preparazione, con le competenze. Le aziende li hanno accolti non per avviarli ad un lavoro vero, ma per avere gratuitamente a disposizione della bassa manovalanza. D'altronde la logica italiana è sempre la stessa, immancabilmente la stessa. Non si creano lavori e posti di lavoro, ma si assume in base agli incentivi ed alle agevolazioni. Quando il denaro pubblico finisce, finisce anche l'occupazione. In tutto il mondo, tranne che in Italia, è chiaro che ad una retribuzione di mille euro corrisponde una prestazione da mille euro. In Italia no. Si chiede ai lavoratori l'etica del lavoro, ma non la si pretende dalle aziende. I furbetti dell'imprenditoria sono convinti che gli altri, all'estero, siano più stupidi perché pagano un ingegnere come un ingegnere. Mentre i furbetti lo pagano come un addetto alle fotocopie che lavori part time anche se è obbligato a fare gli straordinari. Ma i furbetti vogliono anche l'attaccamento all'azienda quando ricorrono ai voucher per rendere il lavoro sempre più precario. Quando cambiano i dipendenti ogni pochi mesi perché passano da uno stagista all'altro. E poi partecipano a dotti seminari dove si cerca, inutilmente, di capire le ragioni per la bassa produttività italiana

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