mercoledì 22 giugno 2016

Se le periferie si ribellano contro gli oligarchi..

Ci volevano gli schiaffoni delle elezioni amministrative perché gli oligarchi italiani si accorgessero delle periferie? Evidentemente si', anche se molti non hanno capito la lezione. Lo si nota dalle dichiarazioni riferite, soprattutto, alla cacciata di Fassino da Torino. "Ma come - si chiedono gli oligarchi - il sindaco non aveva neppure rubato e lo mandano via lo stesso?". D'altronde lo stesso ex sindaco di Torino ha accusato i grillini di aver fomentato lo scontro sociale facendo credere alle periferie di non avere le stesse cose che hanno i quartieri bene della città. Ecco, il problema è proprio questo. Non è che qualcuno abbia fatto credere alle periferie di essere più povere, perché sono davvero più povere. Gli immigrati che per la gente ricca e politicamente corretta rappresentano una risorsa, vengono poi collocati nelle periferie dove rappresenta un problema. Tra delinquenza, sporcizia e privilegi che vengono negati agli indigeni delle periferie. E le periferie sono anche i luoghi dove architetti criminali fanno costruire palazzi osceni, chiese orrende, monumenti disgustosi. Il confronto con i centri storici, dove i grandi architetti del passato hanno realizzato capolavori, e' impietoso. Ma non basteranno i concerti di artisti minori o qualche convegno noiosissimo a modificare la situazione, anche se verranno spostati in periferia. Perché il senso di esclusione prescinde da un concerto o dal filosofo politicamente corretto. Si può essere "periferia" anche se si vive in centro. Perché si è esclusi dal centro decisionale, perché si resta sempre marginali, perché si è ammessi ad ascoltare ma mai a parlare, perché i ruoli di potere sono riservati ad altri anche se gli altri non hanno qualità. Periferia significa restare fuori, essere obbligati ad assistere dai vetri. Significa essere condannati a restare sudditi, senza la possibilità di emanciparsi. E gli oligarchi, che si considerano la nuova aristocrazia, si indignano per la rabbia che cresce. La rabbia degli invidiosi, la definiscono. E assicurano di essere impegnati a migliorare le città proprio per il bene dei sudditi invidiosi. Questa volta, però, mentre i sudditi andavano felici al mare, i cittadini hanno deciso di non voler più restare dietro i vetri. Hanno deciso di entrare nelle stanze del potere. E di provare a cambiare. Non solo a Roma e Torino, ma a Trieste e Novara, a Savona e Grosseto.

Nessun commento:

Posta un commento