venerdì 20 gennaio 2017

Con la nuova Yalta conterà chi avrà una visione strategica

Se ci sarà una nuova Yalta, sarà molto diversa da quella che aveva spartito il mondo al termine della Seconda guerra mondiale. Trump e Putin non sono soli, devono fare i conti con il terzo incomodo rappresentato dalla Cina. Ma, soprattutto, devono fare i conti con nuove realtà emergenti e con vecchie potenze che, come l'Inghilterra, cercano di togliere la polvere al vestito recuperato in soffitta. Non è un caso che Trump abbia subito puntato su Londra, promettendo vantaggi (sembrava quasi il bugiardissimo di casa nostra) in cambio della creazione di un'anglosfera che non coinvolgerebbe solo Stati Uniti ed Inghilterra, ma che sarebbe aperta a parte dell'ex impero britannico, a partire dall'Australia. E se le offerte fossero interessanti, magari potrebbero convincere scozzesi e nordirlandesi a rinunciare ad un referendum per sottrarsi al dominio di Londra. Quanto a Putin, è impegnato in arditi giochi di equilibrismo per tenere insieme, in un'alleanza che ci riguarda da vicino, gli sciti iraniani ed i sunniti turchi, per arrivare a coinvolgere l'Egitto ed accaparrarsi la Libia intera o, perlomeno, la Cirenaica. Senza dimenticare i Paesi dell'Asia Centrale un tempo parte dell'Urss. Anche Pechino, però, non sta a guardare. La conquista di ampie aree dell'Africa è stata ormai avviata con successo, l'influenza cinese è evidente. Ma nel frattempo è proseguita anche la penetrazione in Europa, partendo dalla logistica che diventa fondamentale per favorire il commercio materiale accompagnato da quello immateriale. Non siamo più ai tempi dell'intendance suivra, ormai la logistica precede l'offensiva. E l'Europa, in tutto questo movimento frenetico? Inesistente, come sempre. Ciascuno procede in ordine sparso, a seconda dei propri interessi immediati. La Grecia ha venduto il Pireo ai cinesi, l'Italia ha scommesso su Tripoli per far contento Obama e rischia di ritrovarsi spiazzata da un'offensiva russa a sostegno di Haftar. La Germania pensa solo agli affari, e sono affari suoi, la Francia oscilla e aspetta di conoscere il nuovo presidente per capire se aprirà alla Russia o se sceglierà Trump. La Spagna non è neppure in grado di giocare di sponda con l'immenso mondo latino americano. E ad Est qualcuno cerca intese con Mosca e altri scelgono il sostegno di Washington. In generale prevale l'incapacità di comprendere le potenzialità di presentarsi con la forza di un'Europa davvero unita. D'altronde un'Europa rappresentata da Mogherini è un fallimento a prescindere. Così rinascono gli accordi bilaterali, da posizioni di debolezza estrema. L'Italia della pizza e della moda (controllata dai francesi), delle produzioni di nicchia e dell'arte trascurata: potremo approfittare dell'industria 4.0 per esportare un poco di più, ma resteremo il solito nano politico alla ricerca di un gigante che ci carichi sulle spalle.

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