mercoledì 24 maggio 2017

La Grecia alla fame, ma il Pil cresce più di quello italiano

Chi pensa che il Pil sia un indicatore reale della ricchezza di un Paese dovrebbe osservare ciò che sta succedendo in Grecia. Le stime di crescita del Pil sono state riviste al ribasso, dal 2,7% all'1,8%. In pratica il nuovo tasso di crescita è comunque doppio rispetto a quello italiano. Dunque, secondo i dati, Atene sarebbe in ripresa. Non una grandissima ripresa ma comunque sufficiente per garantire ottimismo e fiducia. La realtà, invece, peggiora giorno dopo giorno. In sette anni le pensioni si sono ridotte ad un terzo (a volte anche meno) rispetto al periodo che ha preceduto la crisi. I greci hanno l'euro ma devono sopravvivere con assegni pensionistici di 500-600 euro. Ed ora il governo del compagno Tsipras, per obbedire ai figli di Troika, taglierà ancora. È l'austerità, bellezza. Il rimedio doloroso ma inevitabile per il rilancio, secondo personaggi come il grigiocrate Monti o come Elsa la belva. Peccato che la povertà cresca e il rilancio non si veda. Chiudono i negozi (un quarto e' già sparito), le piccole industrie se ne vanno a produrre all'estero. D'altronde perché produrre in Grecia se il mercato interno non è in grado di assorbire la produzione? Certo, l'estate in arrivo porterà frotte di turisti alla ricerca di prezzi bassi e di luoghi ignorati dai terroristi. Ma l'estate non dura 12 mesi ed i greci hanno la pretesa di sopravvivere anche nei periodi privi di turisti. L'errore sarebbe quello di guardare alla Grecia come ad un caso isolato, quando invece è solo il Paese test dove sperimentare le politiche da imporre poi ad altri Paesi, a partire dall'Italia. E se la Grecia appare ormai quasi rassegnata alla povertà, con le manifestazioni di protesta che perdono di intensità proprio perché ci si rende conto che tutto è inutile di fronte al tradimento di Tsipras, in Italia è ancora più facile, con un popolo di pecore felici di andare al macello

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